4 Aprile 2022
Quando è nata l’idea del portale-web “Che Scuola ?!, ” dedicato ai servizi socio-educativi, ci siamo chiesti come la tecnologia potesse aiutare scuole e famiglie a saldare il patto educativo al giorno d’oggi.
Da un’indagine che abbiamo effettuato, su un campione di circa 150 genitori e 20 dirigenti scolastici di Torino, è emerso un dato che, purtroppo, non ci ha stupito: il 56% degli intervistati, segnala come difficoltà primaria la cattiva o mancata comunicazione e collaborazione fra scuola e famiglia.
Le interviste parlano di: ingerenze percepite come giudicanti da entrambe le parti, sfiducia, addirittura comportamenti di negazione e menzogna, aggressività verbale o fisica.
Nonostante anche il MIUR si sia espresso attraverso interventi legislativi a favore di questo
patto-educativo le difficoltà relazionali tra il personale scolastico e i genitori non migliorano col tempo.
Abbiamo posto la domanda alla Dott.ssa Silvia Spinelli, psicoterapeuta esperta in consulenze genitoriali su temi educativi, che da anni svolge formazione e coordinamento pedagogico e supervisione di nidi in Torino e Provincia.
‘’ Dott.ssa Spinelli cosa è successo alla relazione scuola-famiglia? Come è possibile spiegare il drastico cambio di rotta avvenuto negli ultimi decenni?
<< Proviamo a raccontarvelo con una storia.
C’era una volta un bambino (o una bambina!) degli anni settanta. Figlio di una mentalità educativa piuttosto rigida, nella quale si distinguevano chiaramente i ruoli adulto/bambino, insegnante/allievo.
Figlio di un tempo in cui i bambini si “baciano mentre dormono”, in cui si utilizzavano metodi correttivi anche basati su costrizione e dolore fisico, figlio di un tempo in cui l’autorità non si poteva mettere in crisi.
Figlio del “perché lo dico io”.
In quel tempo l’alleanza educativa era certo più facile, quasi scontata, i genitori in quanto team adulti si schieravano direttamente con gli insegnanti, a priori, spesso senza sentire ragioni.
Il bambino era un essere umano incompleto, un uomo in divenire, e, come tale, aveva pochi diritti, poco potere di parola, doveva diventare grande per acquisire dei privilegi.
Inoltre, la peculiarità delle comunicazioni 1.0 lo obbligava a tempi d’attesa, gestione della frustrazione: riuscire a fare una semplice telefonata con esito positivo era più difficile che vincere al totocalcio (ricordate il duplex?), si giocava in cortile dove si poteva essere sgridati da un adulto del palazzo a caso, occorreva attendere sempre: attendere il proprio turno all’altalena (senza genitori-vigili urbani, che regolavano il traffico di bambini), attendere in coda al telefono a gettoni, attendere la risposta ad una lettera, ad una cartolina.
I cartoni animati raccontavano storie di sudore, fatica, impegno, sacrifici, (anche sangue!), per arrivare ad obiettivi alti, ambiziosi.
Probabilmente tutto ciò era un po’ esagerato, e come sempre, gli eccessi hanno generato un movimento di ritorno, uno yo-yo di protesta, una controtendenza.
Oggi, infatti, il panorama educativo è molto differente.
I cartoni animati sono per la maggior parte non-violenti e politicamente corretti: Peppa Pig non si allena per vincere i mondiali di pallavolo, ma si rotola nel fango sporcando mezza casa, e il padre se ne fa grasse risate, altro che metodi correttivi degli allenatori da incubo dei cartoni anni ottanta.
I bambini vengono (fortunatamente!) ascoltati nei loro bisogni, tenuti in considerazione, molte cose sono cambiate dal punto di vista legislativo ma anche sociale, ci sono maggiori tutele; le gerarchie sono meno rigide, più fluide, più sfumate; sta scomparendo l’utilizzo del lei, e il “tu” detto senza distinzione di età o di ruolo, ci fa capire che siamo tutti sullo stesso piano.
L’autorità è stata messa in crisi, criticata, discussa nei suoi aspetti peggiori, ma forse in questa legittima critica ce ne siamo persi il lato buono.
Le comunicazioni 2.0 hanno fatto il resto, abituando i nostri bambini (nativi digitali) ad un soddisfacimento immediato degli impulsi, alla velocità, al “tutto e subito e con poca fatica”.
I genitori (immigrati digitali), tentano oggi di recuperare terreno, acquisendo più dati possibile, ponendosi come interlocutori informati, consapevoli, a volte confusi rispetto alle contraddizioni nelle quali è facile imbattersi, ed alleandosi con i figli per proteggerli da eventuali crisi o difficoltà.
Volendo generalizzare, si è passati da uno stile educativo eccessivamente autoritario, ad uno stile forse eccessivamente iperprotettivo; non è compito nostro definire quale dei due stili e dei due periodi storici fosse il migliore, poichè entrambi hanno lati positivi e risvolti negativi; ci preme però sottolineare che la scuola risente di questo cambiamento epocale, poiché spesso affronta bambini e famiglie, che hanno oggi esigenze completamente nuove, con strumenti appartenenti ad un’epoca precedente: strumenti che infatti si rivelano solo parzialmente efficaci, generando un senso di frustrazione e di mancanza di alleanza in entrambe le parti: scuola e famiglia.
Un patto educativo incrinato non tutela nessuno, non fa star bene;
un patto educativo incrinato crea ambivalenza, confonde i bambini;
un patto educativo incrinato fa si che ciascuno si arrocchi nelle sue idee ritenendole migliori e mettendosi in competizione, spostando così il focus dal vero destinatario del patto, ovvero il bambino.
Bambino che, come la warm cognition ci insegna, per apprendere sfruttando al meglio il proprio potenziale intellettivo ha necessità di un ambiente emotivamente sereno, sicuro, con figure di riferimento solide ed autorevoli, non in contraddizione fra loro.
Appare quindi cruciale e di prioritaria importanza, investire risorse, tempo e pensiero nella costruzione di questa alleanza, poiché è il mattone sul quale edificare; sono le fondamenta di una casa che deve essere necessariamente co-costruita, per non perdere l’obiettivo primario dell’istituzione scolastica che non è solo l’immissione di nozioni e contenuti, ma è la formazione del bambino e del ragazzo a trecentosessanta gradi, come essere pensante, etico, collaborativo.
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